Come molte persone cresciute in piccole città di periferia, ho trascorso la maggior parte della mia adolescenza pensando a quando avrei potuto lasciarla.
Sono nata e cresciuta in una città di campagna (veneta per l’esattezza quindi pressappoco la bocca dell’inferno), il tipo di posto in cui tutti conoscono tutti e tutti sanno tutto di tutti. Ci sono solo le scuole elementari e medie, un piccolo supermercato, tre pizzerie d’asporto e due bar alquanto tristi. Il centro della città è solo una lunga strada disseminata di attività locali noiose.
Non fraintendetemi, non tutto è triste e non tutte le persone che ci vivono hanno come unico obbiettivo nella vita di sparlare della vicina di casa il cui figlio si è scoperto essere gay. Alcune delle persone più importanti della mia vita le ho incontrate lì, alcuni dei momenti più catartici della mia adolescenza sono avvenuti sul muretto della chiesa e soprattutto la mia famiglia ci vive.
Ma non ha mai fatto per me e quell’ambiente orribilmente giudicante e chiuso mi ha creato non pochi traumi che permettono alla mia terapista la casa al mare.
Ho sempre voluto scappare, sognavo le grandi città, appendevo le foto di Londra e Parigi alla mia cameretta ed ero convinta che il mio futuro sarebbe stato distante da lì, ma ero una ragazzina che guardava Disney Channel sognando New York. Volevo stare tra una folla di persone che si affrettano, si stressano e poi fanno festa la sera con un Cosmopolitan in mano. Forse è sintomatico della “hollywoodizzazione” della vita e del lavoro, ma vivere in una grande città mi sembrava il massimo del glamour e della raffinatezza. Semplicemente, volevo vivere in un posto più divertente, più eccitante, con più opportunità. Ero stanca di passare i fine settimana da adolescente alternando l'ozio a casa al parchetto con i miei amici. Volevo di più.
Credo che la mia pagina di Tumblr dell’epoca fosse più o meno cosi:
I miei genitori non potevano permettersi un’Università in un’altra città e io volevo assolutamente continuare a studiare, così ho fatto del mio meglio con quello che avevo. Ho fatto le scuole superiori a Padova e non quelle del paesino limitrofo, immolandomi ad orari degli autobus improponibili seza mai lamentarmi, a 16 ho preso il patentino per il motorino per essere più indipendente possibile, mi sono creata amicizie distanti dalla mia cittadina, ho scelto di fare l’Università a Venezia e appena ho potuto ho aderito al progetto Erasmus passando 6 mesi in Francia. Tutto questo mi ha reso però sempre più insofferente nei confronti della mia cittadina perchè che fuori c’era altro e soprattutto c’erano persone che accettavano le tue opinioni nonostante fossero diverse dalle loro.
Poi sono cresciuta e ho realizzato una cosa importante: non aveva importanza di dove vivessi. Certo, è utile avere tutto quello che ci facilita la vita il più vicino possibile, ma non è utile farsi condizionare dall’ambiente intorno a noi, non è utile provare invidia nei confronti di chi è riuscito a trasferirsi a NY, perchè ognuno ha la sua storia e magari quei ragazzi si sentono soli o magari resteranno lì per sempre e tu avrai la possibilità di andare a trovarli quando vuoi.
Sono rimasta in quel paesino? No, ho trovato un compromesso. Mi sono trasferita alle porte di Padova dove ho tutti i servizi che mi sono mancati quando avevo 16 anni, riesco ad essere vicina alle persone che amo e riesco ad avere una vita economicamente soddisfacente, ma soprattutto mi sono liberata dalla convinzione che solo allottandomi avrei trovato persone simili a me, hobby che mi piacessero e sguardi di apprezzamento per il mio modo stravagante di vestire.
Insomma, se si vuole sopravvivere in paesi come quelli dove sono cresciuta bisogna liberarsi del giudizio altrui e forse tendo ancora a “hollywoodizzare” la mia vita, ma almeno non mi sento una pecora nera.
Consigli sul tema di oggi:
Da brava studentessa di letteratura americana non posso fare a meno di consigliarvi “La Via Principale” di Sinclair Lewis, credo racchiuda bene il sentimento del “sentirsi giudicati”;
Parlando di hollywoodizzazione, un film in cui mi ritrovavo molto nei miei anni di sofferenza da “small town” è “30 anni in un secondo”, a mani basse una delle migliori RomCom di SEMPRE!
Mi sono rispecchiata in ogni parola